Come si dovrebbe legiferare e regolamentare in un paese civile, applicando continuamente AIR (analisi di impatto della regolamentazione) e VIR (verifica di impatto della regolamentazione) prima e dopo il processo decisionale.
L’articolo è l’ulteriore dimostrazione dell’interesse della newslist.it del grande Mario Sechi
Una vita sregolatadi Vitalba Azzollini Il sottotitolo di questa newsletter – “Fatto. Analisi. Impatto” (ma anche “Agenda”, come dirò) – è un invito a nozze per chi si occupa di regolamentazione. Quelle tre parole sono, al contempo, presupposto e spinta per l’evoluzione dell’ordinamento. Mi spiego meglio. Il mutamento della realtà è costante, il diritto deve tenere lo stesso ritmo: l’analisi dei fatti, quindi del contesto, così come quella degli impatti delle norme che intervengono sui fatti, è imprescindibile per ogni buon regolatore. Può aggiungersi anche altro. La regolamentazione è un costo, poiché impone oneri e limiti ai soggetti privati, spese di elaborazione ed attuazione a quelli pubblici. Un rule maker realmente accountable deve essere in grado di giustificare in modo trasparente che, tra le diverse opzioni normative a sua disposizione, ha scelto quella più efficace in termini di costi e benefici, dati i fini perseguiti. La scarsa attenzione a questo processo di valutazione ponderata ha determinato nel tempo discipline sovrabbondanti, inutili o poco coerenti. E i conseguenti effetti negativi su produttività, concorrenza, competitività del sistema economico nazionale sono evidenti (e attestati da studi sull’attrattività di diversi Paesi). Dunque, “Fatto. Analisi. Impatto” è, in sintesi, il metodo che i regolatori nazionali – specificamente governo e autorità “tecniche” – dovrebbero seguire (il condizionale è d’obbligo, come spiegherò oltre), non foss’altro perché è da anni un obbligo di legge. Come si attua in concreto questo metodo? Si attua, da un lato, mediante l’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), strumento che serve a definire esattamente il problema da risolvere; individuare gli obiettivi perseguiti e costruire indicatori di carattere quantitativo che consentano di verificarne il grado di raggiungimento; consultare gli stakeholder; esaminare le varie opzioni di intervento (inclusa la cd. “opzione zero”, ossia il non intervento); comparare i vantaggi e gli svantaggi di ognuna di tali opzioni, considerandone gli effetti concorrenziali sul mercato e quantificandone il “prezzo” per cittadini e imprese; delineare un attendibile scenario del futuro funzionamento dell’opzione selezionata, soprattutto dei suoi possibili effetti inattesi o indesiderati, sulla base dei dati disponibili al momento della sua scelta. Dall’altro lato, il metodo citato si attua mediante la verifica di impatto della regolamentazione (VIR), che serve per vagliare il reale grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati, misurato sulla base degli indicatori predefiniti; “manutenere” le leggi vigenti, onde permetterne nel tempo la correzione a seguito di eventuali disfunzioni o l’aggiornamento in relazione a sopravvenuti mutamenti fattuali e giuridici; abrogare le norme non più necessarie. Ricapitolando, il metodo riassunto in “Fatto. Analisi. Impatto” – valutazione ex ante dell’adeguatezza della regolamentazione ed ex postdella sua concreta e perdurante efficacia – serve non solo a tenere l’ordinamento al passo di una realtà in costante trasformazione e a imporre ai regolatori di giustificare le proprie scelte in maniera trasparente, ma a garantire il buon funzionamento delle leggi. Quindi, è un metodo idoneo ad assicurare una regolamentazione di qualità. Come il Consiglio di Stato ha evidenziato in un recente parere – ove riassume i numerosi interventi in tema di better regulation da parte del legislatore nazionale, nonché dell’Unione Europea e dell’OCSE – “una norma ‘scritta bene’, che rispetti i requisiti di ‘qualità’ (…) in termini di consapevolezza dell’impatto su cittadini e imprese, reca un beneficio ulteriore – e costi sociali minori – rispetto ai benefici che il suo contenuto ‘di merito’ già prevede”. In altre parole, la valutazione degli impatti, garantendo la qualità delle regole, offre un “valore aggiunto” economicamente stimabile in termini di “maggiore efficacia, efficienza, sostenibilità e ‘durabilità’ delle normative”. “Fatto. Analisi. Impatto” è il metodo che i regolatori nazionali dovrebbero seguire, dicevo usando scientemente il condizionale. Ne spiego la ragione. Come rilevato sempre dal Consiglio di Stato – e come si legge puntualmente nella Relazione sullo stato di attuazione della analisi di impatto della regolamentazione, presentata ogni anno dal Governo al Parlamento – le relazioni AIR sono il più delle volte poco approfondite, prive degli indicatori quantitativi utili a consentire la verifica dell’effettivo impatto delle norme; mancanti dell’analisi economica delle opzioni alternative di regolamentazione e lacunose riguardo all’opzione prescelta; carenti nell’analisi di “fattibilità”, cioè incuranti della successiva fase di attuazione, anche in termini di stima delle risorse – finanziarie e umane – necessarie. Quanto alle VIR, affermare che non ve ne sono molti esempi sarebbe un eufemismo. Questa è la foto del “metodo” – anche per i fallimenti serve metodo – con cui i regolatori nazionali hanno nel tempo affossato ogni italica aspirazione di better regulation. Peraltro, svuotando di significato AIR e VIR, hanno costantemente disatteso anche il c.d. regulatory budget (che impone di non introdurre nuovi oneri amministrativi senza averne prima eliminati altri), reso le consultazioni pubbliche dei meri pro-forma, ossia atti di politica fittizia, e molto altro. Ma qui mi fermo. “Fatto. Analisi. Impatto” è il metodo con cui, in questa newsletter, partendo dai fatti esaminati, vengono tratte conclusioni, fondandole su analisi di dati e impatti svolte trasparentemente. E trasparenza è la caratteristica ineludibile di ognuno degli strumenti di better regulationsopra citati, nonché la chiave di volta per comprendere il loro insufficiente utilizzo, di AIR e VIR soprattutto. La trasparenza delle decisioni di regolazione – cioè la trasparenza delle valutazioni degli impatti, anche attraverso la loro pubblicazione su siti istituzionali – metterebbe i governanti nella condizione di dover rendere conto del proprio operato, consentendo all’elettorato di giudicarli con dati di fatto. Detto in termini più banali, ne disvelerebbe i poco realistici annunci di riforme mirabolanti, così come il mancato ottenimento di effetti previsti con noncurante leggerezza. Dunque, gli strumenti che garantiscono la qualità della regolazione, nonché la trasparenza del processo di rule making, contribuirebbero alla responsabilizzazione democratica dei rule makers stessi, date le conseguenze reputazionali (e soprattutto elettorali) cui potrebbero dar luogo. E’ più chiaro ora il perché in Italia tali strumenti non vengono usati – anzi, sono spesso demonizzati da politici e supporter – con la conseguenza che le leggi sono fatte male e operano ancora peggio? Dimenticavo: nel sottotitolo di questa newsletter vi è anche la parola “Agenda”, cioè il “da farsi”, e ai fini di quanto detto sopra conta anche quella. La trasparente programmazione dell’attività normativa e, quindi, l’elenco delle iniziative di regolamentazione previste in un arco temporale preciso – con pubblicazione sui siti web istituzionali anche dei motivi per cui il programma non viene eventualmente rispettato – rappresenterebbe un impegno, la cui violazione nuocerebbe alla credibilità di chi l’ha assunto. “Fatto. Analisi. Impatto. Agenda”. Così si chiude il cerchio. Chi è l’autore. Vitalba Azzollini, giurista. Lavora presso un’Autorità di vigilanza. Scrive in tema di diritto su riviste on line (tra le altre, La Voce e Noise fron Amerika), blog (Phastidio e Istituto Bruno Leoni) e giornali. Autrice di paper per l’Istituto Bruno Leoni. |
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