Archivi del mese: novembre 2011

Le aspettative di lavoro dei giovani medici costituiscono una sfida per il reclutamento

Gli interessanti risultati di un’indagine svolta su giovani medici americani, alla fine del loro periodo di residency, pongono nuove sfide per il loro reclutamento nella pratica clinica.

Si tratta di un’indagine che viene ripetuta periodicamente e quindi consente di analizzare nel tempo le variazioni delle aspettative di lavoro.

In dieci anni, l’aspirazione a lavorare in ospedale è cresciuta dal 3 al 32%.

Si dichiarano molto preoccupati di alcune questioni: di avere una sufficiente disponibilità di tempo (dal 33 al 48%); di avere a che fare con troppe carte (dal 13 al 42%); di non avere una sufficiente capacità gestionale ( dal 4 al 22%).

Quanto alle più importanti aspettative che un lavoro deve avere, ecco alcune percezioni: la geografia (dal 57 al 81%); chiamate/guardie/ tempo a disposizione (dal 28 al 68%); la vicinanza della famiglia (dal 30 al 52%).

Sarebbe interessante che si facessero indagini simili e sistematiche anche da noi. Ci aiuterebbe a conciliare le esigenze ed aspettative dei professionisti e delle organizzazioni sanitarie.

http://www.ama-assn.org/amednews/2011/10/24/bil11024.htm#s2

Attitudini e senso di appartenenza

Ci sono due condizioni necessarie perché la qualità delle élites si dispieghi a vantaggio del paese. La prima riguarda le attitudini, la seconda il senso di appartenenza. Scuola ed Università danno ai giovani una preparazione abbastanza buona, ma non curano la formazione dell’attitudine al lavoro di gruppo ed al senso civico. La seconda condizione concerne il senso di appartenenza. Rispetto ad altri abbiamo il senso di appartenenza alla famiglia (che è bene) e alla corporazione professionale o politica (che non è un bene, secondo me); molto meno forte il senso di appartenenza al paese (che è male).

Mario Monti, intervista a Il Foglio, 7 dicembre 2006.

HTA è efficacia dei servizi sanitari: il 4° Congresso Nazionale SIHTA

Si è svolto a Udine, dal 17 al 19 novembre, il 4° Congresso della Società Italiana di Health Technology Assessment.

In un momento storico caratterizzato da risorse sempre più limitate a fronte di tecnologie (farmaci, attrezzature, dispositivi medici, procedure mediche e chirurgiche, sistemi organizzativi che erogano assistenza) al servizio della salute sempre più sofisticate e costose, la valutazione della tecnologia sanitaria (HTA, health technology assessment) dovrebbe essere uno dei principali strumenti per prendere decisioni eque e sostenibili a livello politico (macro), a livello gestionale (meso), a livello clinico (micro).

La SIHTA in questi anni ha svolto il ruolo di catalizzatore scientifico nel panorama nazionale dei processi di valutazione che si sono diffusi nel Paese a livello centrale e regionale, anche se non hanno ancora assunto le caratteristiche della sistematicità, della trasparenza, del coinvolgimento non solo dei tecnici, dei politici e dell’industria, ma anche quello del pubblico, dei cittadini. I primi tre congressi sono stati dedicati all’analisi di modelli, strumenti ed esperienze; al modello istituzionale tra Stato e Regioni; e al passaggio dalla teoria alla pratica. Il 4° Congresso ha affrontato il tema “HTA è qualità dei servizi sanitari”, cioè del modo in cui le decisioni prese a valle di rigorosi e trasparenti valutazioni si trasformano in livelli essenziali di assistenza accuratamente amministrati.

Quattro sessioni plenarie, con relatori italiani e stranieri invitati, hanno guidato i partecipanti in questo percorso. La prima sessione è stata dedicata allo sviluppo dell’HTA in Europa: uno sguardo alle iniziative dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (R. Bertollini), agli sviluppi strategici in Europa e oltre ( C. Longson, NICE e vicepresidente della Società Internazionale HTAi); alla battaglia per la qualità dei servizi sanitari tra decentramento e crisi economica (W. Ricciardi). La seconda sesione ha affrontato il tema delle sfide della regolazione nel settore farmaceutico: la posizione dell’ EMA ( M. Berntgen); il contributo di EUNetHTA (W. Goettsch); le sfide di AIFA (P. Siviero). La terza sessione ha presentato le esperienze sviluppate negli ospedali italiani e stranieri (M. Marchetti); e la relazione tra HTA e governance dei sistemi sanitari attraverso un’esperienza “personale” (C. Favaretti). La sessione finale è stata dedicata ai professionisti e l’HTA: la misurazione delle performance, con esempi americani e italiani sul by-pass aorto-coronarico (D.J. Ballard); e il ruolo guida dei General Practitioners nel commissionare i servizi sanitari in Inghilterra (D- Colin-Thomé).

Due workshop sulla ricerca bibliografica e documentale in HTA (G.M. Guarrera e C. Vidale) e sul progetto europeo DECIDE, strumenti basati sulle prove di efficacia per le decisioni cliniche e di politica sanitaria (A. Liberati e S. Pregno) hanno arricchito l’offerta formativa del Congresso.

11 sessioni parallele, durante le quali i partecipanti hanno presentato 59 comunicazioni orali, e la mostra di numerosi poster hanno documentato un intenso lavoro, di buona qualità che si è svolto nel nostro Paese. Oggi l’Italia ha un gruppo di professionisti capaci di condurre valutazioni della tecnologia sanitaria: l’auspicio è che il sistema sanitario razionale e regionale sappia utilizzarli al meglio per dare risposte eque e sostenibili ai bisogni della popolazione.

Prima dell’inaugurazione del Congresso si è svolta la riunione conclusiva del 2° Health Policy Forum. Il Policy Forum è un’importante iniziativa di SIHTA, mutuata dall’esperienza di HTAi, la Società Internazionale. Esso è una sede in cui tutti i soggetti interessati alla valutazione della tecnologia sanitaria, professionisti che operano in enti pubblici regolatori del sistema sanitario nazionale e regionale, in enti erogatori dell’assistenza, nell’Università e istituti di ricerca, nell’industria farmaceutica e dei dispositivi medici, nelle società scientifiche e rappresentanti dei cittadini hanno la possibilità di discutere sui temi più scottanti riguardante la valutazione della tecnologia.

La prima edizione ha focalizzato l’attenzione sul ruolo degli stakeholder (portatori di interesse) nel processo di HTA; la seconda, conclusa a Udine sulla definizione delle priorità di valutazione tra esigenze centrali e regionali.

La riunione di Udine è stata arricchita dalla presenza di Carole Longson, vicepresidente di HTAi, che ha illustrato come il National Institute for Clinical Excellence (NICE) affronta il tema del coinvolgimento degli stakeholder. Le conclusioni sono state svolte da Fulvio Moirano, Direttore generale di AGENAS.

Il Congresso di Udine ha costituito anche, per i Soci di SIHTA, l’occasione di esaminare l’attività svolta nell’ultimo triennio e di dare al Consiglio Direttivo, confermato dalle previste elezioni, gli indirizzi per il prossimo.

L’azione di SIHTA nell’ultimo triennio è stata orientata su sei direttrici: 1) accreditarsi come associazione di interlocutori tecnici indipendenti; 2) proporsi alle altre società scientifiche, in particolare a quelle cliniche, come strumento per diffondere principi e metodi dell’HTA tra i rispettivi soci aumentando le loro competenze valutative; 3) offrire all’industria, attraverso il Policy Forum, un’occasione di discussione sullo sviluppo di decisioni razionali per la sanità; 4) offrire risorse professionali per costruire capacità e competenze valutative nell’ambito di programmi universitari di master e di formazione continua per alcune Regioni; 5) rafforzare l’azione internazionale con HTAi (la Società internazionale) e EUNetHTA (una Joint Action europea); 6) contribuire al potenziamento della partecipazione, consapevole e responsabile, dei cittadini ai processi valutativi a livello centrale, regionale e locale.

In particolare, quest’ultima azione è culminata con la firma di un accordo tra SIHTA e CittadinanzAttiva, rappresentata dal suo Presidente Alessio Terzi, per lo sviluppo di una leadership civica: l’obiettivo è formare un certo numero di “cittadini esperti” che, a livello nazionale e regionale, possano partecipare attivamente e proficuamente ai processi di valutazione della tecnologia sanitaria e, quindi, alle successive scelte.

Aumento delle competenze valutative tra i Soci, miglioramento dell’informazione e della comunicazione interna, definizione di target operativi che misurino l’efficacia dell’azione societaria, alleanze con società scientifiche, documentazione della produzione scientifica e sensibilizzazione della politica ai temi valutativi sono le linee di azioni per il prossimo triennio.

ORGANIZZAZIONI IN RETE E PROCESSI DI AZIENDALIZZAZIONE

Indovinate quando ho scritto questo articolo!

Le aziende sanitarie

L’articolazione del Servizio Sanitario Nazionale in Aziende Sanitarie costituisce lo strumento per tentare di raggiungere un equilibrio tra la riduzione delle risorse a disposizione per la sanità ed il mantenimento di determinati livelli assistenziali.

Si potrebbe scorgere nel processo di aziendalizzazione il tentativo di ancorare il riordino del sistema sanitario al principio di equità anche se esso non è esplicitamente definito (1). Il termine equità, che sottende i concetti di giustizia ed imparzialità, ha in sanità due connotazioni: l’equità dell’accesso ai servizi sanitari e l’equità dei livelli di salute.

Per lo più ci si ferma alla connotazione di equità di accesso ai servizi sanitari, indipendentemente dal fatto che essi siano, per esempio, di dimostrata efficacia per la salute, tralasciando così gli aspetti relativi all’equità dei livelli di salute.
Il processo di aziendalizzazione, d’altra parte, introducendo alcuni meccanismi cosiddetti di mercato, ha l’obiettivo dichiarato di aumentare l’efficienza produttiva del sistema.

Tuttavia, non è sufficientemente valutato un problema essenziale: il mercato, in sanità, è assolutamente atipico; non vi è infatti equilibrio tra domanda e offerta, perché è quest’ultima che crea la domanda.
Lo sbilanciamento della programmazione sanitaria verso i problemi dell’offerta, insieme con la transizione epidemiologica verso malattie croniche, per lo più curabili ed inguaribili; l’invecchiamento progressivo della popolazione; l’innovazione tecnologica continua (più rapida della possibilità di dimostrarne l’efficacia); ed i costi crescenti dell’organizzazione sanitaria hanno determinato, in successione, il collasso finanziario del sistema mutualistico e del SSN istituito con la L. 833/1978.

Di fronte alla necessità di dare risposte innovative, si è continuato a puntare tutto sulla necessità di una buona gestione interna del sistema.
Stenta a farsi strada una concezione di moderna sanità pubblica che abbia, tra l’altro, la consapevolezza che non tutti i problemi di salute possono essere affrontati dal sistema sanitario (2). In altre parole, si è forse sottovalutata l’importanza di sviluppare una visione strategica sugli scenari dei bisogni ai quali possa essere data risposta con l’obiettivo di influire veramente sui livelli di salute degli individui e delle comunità.

Ma può veramente esistere un approccio aziendale ai problemi della sanità limitato a criteri di correttezza amministrativa senza che si debba sviluppare una visione strategica ?
A mio avviso no !
La teoria aziendale afferma che un’azienda è, in generale, un’organizzazione economica finalizzata al raggiungimento di determinati obiettivi.

Da questa definizione emerge chiaramente la necessità che l’azienda sanitaria sviluppi una propria visione strategica in termini di obiettivi di salute da raggiungere e non solo, come oggi accade, di obiettivi di organizzazione.

Un altro pericolo per lo sviluppo equilibrato del sistema è, a mio avviso, la fuga in avanti che tende a confondere il concetto di azienda con quello di impresa, cioè di un’azienda che deve produrre reddito.

Insisto su questa impostazione perché sono convinto che senza la consapevolezza delle potenzialità e dei limiti dello strumento aziendale, verificheremo per la terza volta consecutiva il fallimento finanziario del sistema sanitario.
Infatti, se l’obiettivo strategico aziendale è la salute, e la salute non è solo assenza di malattia, ma benessere fisico, mentale e sociale, dovrà essere chiaro a tutti che solo una parte dei problemi di salute sono affrontabili dal sistema sanitario.

Inoltre, il sistema sanitario non può dare risposta a tutti i bisogni che sarebbero di sua competenza perché non per tutti i bisogni è disponibile una risposta efficace e comunque esso vive in un contesto in cui le risorse sono sempre più contingentate.
Una vera impostazione aziendale potrebbe forse aiutarci ad affrontare il problema delle risorse, in generale, e della loro allocazione, in particolare, affrontando i problemi non solo e non tanto in termini di spesa per i servizi sanitari, ma in termini di investimenti per la salute (3), considerando almeno i seguenti cinque principi:

  • migliorare la salute è un investimento per l’intera società
  • è necessario agire sui determinanti della salute
  • è indispensabile un riorientamento dei servizi sanitari (e non solo un riordino)
  • l’impatto degli investimenti, almeno dei nuovi, deve essere misurato in termini di “guadagno disalute” (health gain)
  • si deve tendere a ridurre le diseguaglianze con investimenti compatibili con i diritti umani.Dopo aver delineato quelli che a mio avviso sono i punti critici dei processi di aziendalizzazione in atto nel nostro sistema sanitario, passerò all’analisi dei problemi connessi con lo sviluppo di reti nei sistemi produttivi di beni e servizi, tentando di delineare i possibili aspetti applicativi per la sanità.

    Le organizzazioni in rete o le reti di organizzazioni

    La rete può essere definita come un insieme di persone che, condividendo un certo numero di valori e di norme (in altri termini una cultura), sono legate da legami di vario genere (nel caso che ci interessa da legami di lavoro) che li portano a cooperare (4).
    Il concetto di rete è relativamente recente nelle scienze umane, in generale, ed in quelle dell’organizzazione, in particolare.

    Gli antropologi ed i sociologi per primi ne hanno fatto oggetto di ricerca dagli anni Cinquanta e successivamente sono stati sviluppati modelli organizzativi ed assistenziali che a secondo delle discipline sono stati di volta in volta identificati con espressioni come “lavoro sociale in rete”, “approccio comunitario”, “approccio ecologico”.

    Sul piano pratico, le esperienze condotte nella sanità riguardano prevalentemente la ricerca ed il lavoro clinico e sociale . Si tratta, per lo più di esperienze di tipo personale che di solito non

coinvolgono formalmente le organizzazioni in cui gli operatori lavorano: soprattutto non le coinvolgono con finalità di uno sviluppo organizzativo.

In sede internazionale, per affrontare in modo moderno i problemi della salute, l’OMS ha lanciato una serie di iniziative, che tendono a coinvolgere non solo persone, ma anche istituzioni, con lo slogan “Networking for the Future”: sono nate quindi le reti delle città sane, delle scuole per la promozione della salute, delle regioni per la promozione della salute, degli ospedali per la promozione della salute, ecc., coordinate nel programma “Networking the Networks” (5).

Queste reti sono caratterizzate da legami strutturalmente rilevabili; da un funzionamento mediante scambi (operativi, formativi, scientifici, ecc.); dalla produzione di un sostegno reciproco sul piano materiale ed informativo (6).
Per quanto riguarda gli ospedali, 16 Aziende ULSS e le 2 Aziende Ospedaliere del Veneto hanno iniziato un’esperienza in rete per sperimentare la possibilità di ispirare il proprio cambiamento organizzativo al concetto di promozione della salute (7).

A questo punto è comunque opportuno verificare se tale nostro progetto costituisca una semplice evoluzione, in chiave di maggiore strutturazione formale, del sopracitato lavoro in rete o piuttosto una sperimentazione che in qualche modo accomuna il sistema aziendale sanitario con quello amministrativo, aziendale ed anche imprenditoriale di diversi comparti, in molte parti del mondo.

In questo secondo caso si tratterebbe di una sperimentazione che se applicata con successo potrebbe consentire lo sviluppo di modelli organizzativi e gestionali sicuramente diversi da quelli tradizionali.
La costituzione di reti sembra oggi essere un problema trasversale allo sviluppo delle società moderne ed il paradigma della rete – inteso come metafora del comportamento cooperativo tra individui, aziende ed enti territoriali – sta progressivamente diventando in tutto il mondo il paradigma di riferimento nei processi di innovazione (8).

Infatti, il processo di globalizzazione richiede che gli agenti economici siano presenti contemporaneamente su mercati multipli e che abbiano il controllo di tendenze tecnologiche multiple. Tali presenze e tale controllo dovrebbero essere così spinti che è virtualmente impossibile raggiungere simili obiettivi adottando comportamenti economici tradizionali. La costituzione di reti (networking), attraverso la cooperazione che determina, favorisce il raggiungimento di tali obiettivi riducendo i costi ed aumentando il risultato economico.

La strategia del networking è oggi progressivamente seguita ad almeno tre differenti livelli economici:

  • a livello di singole aziende
  • a livello di cluster di aziende o di “distretti industriali”
  • a livello di cluster territoriali complessi come le città (8).Livello delle singole aziende

    Le aziende di produzione stanno rispondendo alle sfide della globalizzazione (intesa come l’integrazione planetaria delle competenze tecnologiche e produttive) attraverso due modelli organizzativi e tendenze comportamentali: gli accordi di cooperazione e le alleanze strategiche transnazionali.

    Secondo tali modelli organizzativi due o più aziende stabiliscono rapporti di cooperazione attraverso la diffusione di assetti organizzativi complementari, lo sviluppo di standards comuni o di nuovi processi sfruttando sinergie, complementarità, sistemi di apprendimento, “esternalizzando” funzioni non strategiche.

Non si tratta del tradizionale scambio di pacchetti azionari o della creazione di nuove società. Tali nuovi modelli sono relativamente poco formalizzati, non hanno necessariamente caratteristiche di reciprocità ed in genere riguardano specifici prodotti o aree di interesse e non l’intera azienda. In sostanza, essi hanno la finalità di ridurre i costi ed i rischi associati agli investimenti in ricerca e sviluppo, nonché ad accelerare il ritmo dell’innovazione.

Negli ultimi 15 anni, si sono sviluppate reti di aziende produttrici di beni, soprattutto nel campo della ricerca e sviluppo e dell’innovazione tecnologica, con un ritmo che è passato da circa 150 all’anno a metà degli anni Settanta, a circa 2000 all’anno alla fine degli anni Ottanta. Negli ultimi anni le reti si sono diffuse al settore terziario: nelle società finanziarie, nei media, nei trasporti e nelle telecomunicazioni. Le aree geografiche più interessate sono state quelle del triangolo Europa, Stati Uniti e Giappone.

Le esperienze finora condotte mettono in evidenza che le reti di cooperazione

  • costituiscono la nuova forma di competizione internazionale soprattutto tra strutture settorialioligopolistiche
  • sono specifiche di contesti caratterizzati dal rapido emergere di nuove tecnologie e di processi diinnovazione
  • cercano di raggiungere il profitto ed il dominio del mercato attraverso
    • sinergie ed economie di scala nella produzione, nel marketing e nella ricerca e sviluppo
    • economie di scopo e differenziazione di prodotti
    • “fertilizzazione crociata” e sviluppo di complementarità tecnologiche
    • aumento delle capacità di reazione rapida agli shock esterni
    • controllo sugli assetti innovativi in grado di prevedere le tendenze di applicazione della tecnologia dell’informazione
    • formazione di nuovi tipi di barriere al mercato (creazione di standards proprietari).
      Gli obiettivi del networking tra aziende sono, in ordine di crescente importanza strategica, il raggiungimento di economie di scala, la riduzione dei costi di ricerca ed interpretazione delle informazioni e dei loro elementi di incertezza, ma soprattutto il controllo sulle tendenze evolutive degli assetti organizzativi e delle tecnologie (9).
      Secondo Camagni, una rete di aziende può essere definita come una serie precisa di legami espliciti con partners preferenziali in uno spazio aziendale di assetti organizzativi complementari e di relazioni di mercato, il cui obiettivo principale è la riduzione dell’incertezza statica e dinamica (8).Livello di cluster di aziende

      Ad un più complesso livello si situano le reti di cluster di aziende. Si tratta di esperienze che riguardano gruppi territoriali di aziende che operano in stretta sinergia: vengono definiti anche “distretti industriali” o con la terminologia del GREMI (Groupe de Recherche Européen sur les Milieu Innovateurs) “milieu innovateurs”.

      In tale situazione, si verificano due processi di cooperazione. Il primo, prevalentemente informale, riguarda le relazioni non commerciali (tra consumatori e produttori, tra soggetti privati e pubblici) ed una serie di taciti trasferimenti di conoscenza grazie alla mobilità professionale ed a processi di imitazione inter-aziendale. Il secondo, più formalizzato, riguarda la cooperazione trans-territoriale (tra aziende, agenti collettivi e istituzioni pubbliche) nel campo dello sviluppo tecnologico, della formazione di base e continua, della fornitura di infrastrutture e servizi.

      Un esempio famoso di rete di cluster è costituito dall’industria informatica a Silicon Valley (10).

Livello di reti di città

Come il cluster di aziende innovative, la città appare come un agglomerato di attività collegate in modo diretto o indiretto; a differenza del cluster, la città ha a che fare con attività fra loro enormemente diversificate, che non operano all’interno di un settore ad alta specializzazione e non sono organizzate in modo omogeneo.

Come per le reti di aziende, le reti di città possono avere caratteristiche di complentarità (quando il problema è quello di avere servizi con elevate economie di scala), di sinergia (quando città di simile “specializzazione” formano un mercato integrato e danno all’esterno un’ immagine unitaria, come alcune città turistiche balneari), di innovazione (quando cooperano per fornire un’ innovazione territoriale comune, come grandi infrastrutture aeroportuali) (11).

In materia di salute, va qui ricordato il progetto dell’OMS delle Città Sane come esempio di azione intersettoriale per uno sviluppo delle città compatibile con la tutela della salute stessa.

Conclusioni

Si è detto che il networking sta progressivamente configurandosi in tutto il mondo come il paradigma di riferimento dei processi di innovazione.
Abbiamo visto come sistemi produttivi ed amministrativi molto sofisticati e complessi già da tempo stiano muovendo verso la costituzione di reti per rispondere meglio e più tempestivamente alle sfide della globalizzazione e dell’innovazione.

Alla base di tale movimento vi è la consapevolezza che le teorie basate sulla cosiddetta efficienza statica e gli approcci basati solo sul controllo dei costi sono assolutamente inutili.
I moderni sistemi sanitari devono confrontarsi con elementi che li rendono vicini ad alcuni sistemi produttivi:

  • sono estremamente complessi anche per l’elevata presenza percentuale di professionisti che godono di un’amplissima autonomia professionale, e che sono in grado perfino di contraddire la strategia delle organizzazioni in cui si articolano i sistemi stessi (aziende)
  • sono caratterizzati da una velocissima innovazione tecnologica
  • devono far fronte a bisogni ed aspettative in rapida evoluzione
  • operano in un contesto sociale in cui la competizione per l’acquisizione delle risorse, tra i diversisottosistemi sociali (sanità, previdenza, educazione, difesa, giustizia, occupazione, ecc.) è

    estremamente elevata.
    Sulla base di quanto finora esposto, si può prevedere che l’attuale sistema sanitario italiano aziendalizzato sia adeguato alla sfida cui è esposto, sintetizzabile nella tutela dei livelli di salute della popolazione a costi sostenibili per lo sviluppo complessivo della società ?
    A mio avviso si se si verificassero le seguenti condizioni:

  • chiarificazione del concetto di azienda come organizzazione economica finalizzata alraggiungimento di obiettivi di mantenimento e/o innalzamento dei livelli di salute
  • capacità da parte delle aziende sanitarie e delle Regioni alle quali appartengono di recuperare una logica esplicita di sistema con chiari obiettivi in termini di salute e non solo in termini diriorganizzazione dell’offerta di servizi
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  • definizione di una visione strategica orientata alla salute, che consenta, agendo sui determinanti della stessa, di identificare gli ambiti di competenza diretta da quelli in cui l’ azienda deve supportare istituzioni ed aree non sanitarie
  • capacità di adottare in modo esplicito un approccio programmatorio di tipo realistico nella consapevolezza che ogni bisogno di salute deve essere in qualche modo selezionato e può ottenere una risposta se è disponibile una soluzione efficace per il miglioramento della salute, e se questa soluzione ha un costo sostenibile.Personalmente credo che il processo avviato con la rete degli ospedali per la promozione della salute possa essere utile per sperimentare le condizioni sopra elencate.
    La promozione della salute, così come definita dalla Carta di Ottawa (il processo che fornisce alle persone i mezzi per assicurare un maggior controllo sulla propria salute e per migliorarla), può costituire la base della strategia aziendale e dei sistemi regionali.

    Ancorata com’è al concetto di livello di salute degli individui e delle comunità, la promozione della salute integra tra loro i tradizionali approcci sanitari di tipo preventivo, curativo e riabilitativo, supportando così sul piano teorico problemi pratici di tremenda portata come per esempio quello della continuità dell’ assistenza.

    La costituzione di reti di ospedali per la promozione della salute potrebbe essere, per lo meno, analoga a quella delle reti aziendali dei sistemi produttivi non sanitari, se non addirittura a quella dei cluster aziendali, le quali abbandonando le tradizionali teorie basate sull’efficienza statica, tendono ad assicurare il controllo sulle tendenze evolutive del sistema produttivo riducendo l’incertezza statica e dinamica.

    Accanto alla costituzione di reti, la ricerca di alleanze con altri comparti che controllano alcuni determinanti della salute potrebbe consentire di perseguire realmente la costruzione di una politica pubblica per la salute, superando così approcci tradizionali di sanità pubblica (12, 13).
    Una sperimentazione ospedaliera in termini di rete, ben supportata dalla programmazione regionale, potrebbe forse risolvere anche il problema del ruolo e funzione dei piccoli ospedali e aggiungere qualche più approfondita riflessione al dibattito sugli ambiti territoriali delle aziende USL.

    Facendo riferimento ai sistemi produttivi non sanitari, questo dibattito sugli ambiti territoriali sembra più legato ad approcci imprenditoriali tradizionali, di cui è esempio lo scambio di pacchetti azionari e la costituzione di nuove società (che abbiamo visto essere sostanzialmente superati), che ad una visione innovativa chiaramente ancorata a bisogni di salute e a domande di servizi che è possibile soddisfare perché sono disponibili risposte di dimostrata efficacia, a costi sostenibili per la società.

    In realtà la vigente legislazione consentirebbe sperimentazioni gestionali innovative (art. 9 del D. Lgs. 502/1992, così come modificato dal D. Lgs. 517/1993). Inoltre, sembrano sottovalutati i contenuti delle Linee di Guida n. 2/96 emanate dal Ministero della Sanità sul profilo aziendale dei soggetti gestori dei servizi sanitari.

    Mi auguro che l’ esperienza che stiamo conducendo dia un contributo significativo al dibattito sull’ evoluzione del nostro sistema sanitario, in un momento storico in cui anche per la sanità si aprono alcuni scenari di globalizzazione connessi soprattutto ai processi di unificazione europea.

BIBLIOGRAFIA

  1. Favaretti C.: Equità e mercato negli attuali sistemi sanitari, in Atti del Workshop Costruire le Aziende Socio Sanitarie ed Ospedaliere, Torri di Quartesolo (VI), 29 marzo 1996.
  2. WHO: The Ottawa Charter for Health Promotion, 1996.
  3. WHO: Investments
  4. Besson C.: Il lavoro di rete: strategie d’azione, AQF, 1994, 79-87.
  5. WHO/EURO: Networking for the future, Copenhagen, 1996.
  6. Sanicola L.: Orientamenti al lavoro di rete: approcci teorici e metodologici, AQF, 1994, 37-52.
  7. De Pieri P. e Favaretti C.: La rete veneta degli ospedali per la promozione della salute, in DePieri P. (Ed.) La promozione della salute nel Veneto, Padova, 1997, 43-50.
  8. Camagni R.: Networking for innovation at international level, Healthy Cities TechnicalSymposium on Evaluation, Dublin, october 25-26, 1996 (working paper).
  9. Camagni R.: Technological change, uncertainty and innovation networks: towards a dynamic theory of economic space, in Camagni R. (Ed.): Innovation networks: spacial perspectives,London, Belhaven-Pinter, 1991.
  10. Camagni R.: From city hierarchy to city network: reflections about an emerging paradigm, inLakshmanan T.R. e Nijkamp P. (Eds.): Structure and change in the space economy, Festschrift

    in honor of Martin Beckmann, Berlin, Springler Verlag, 1993, 66-89.

  11. Camagni R.: Interfirm industrial networks: the costs and benefits of cooperative behaviour,Journal of Industry Studies, 1993, 1, 1-15.
  12. Baric L.: La promozione della salute e l’educazione sanitaria, in De Pieri P. (Ed.) La promozionedella salute nel Veneto, Padova, 1997, 1-20.
  13. De Pieri P. e Favaretti C.: Collegare le reti per la salute, in De Pieri P. (Ed.) La promozione dellasalute nel Veneto, Padova, 1997, 21-34.

    Scritto nel 1997